The pre-print of our work is out! You can download the full draft following this link to ArXiv
Here an English interview I did with NSSGCLUB on the topic: https://www.nssgclub.com/en/pills/21778/come-si-combatte-il-revenge-porn
La nostra ricerca presentata durante l'evento di Tlon e Bossy su responsabilità maschile nella diffusione non consensuale di materiale intimo: qui il link all'evento online
Il nostro testo letto da Andrea Colamedici in chiusura:
La necessità di comprendere in maniera più sistematica in che modo l’uso di tecnologia digitale è diventato responsabile dell’aumento e proliferazione di una violenza che colpisce con forza le donne e la loro autonomia, la loro voce e il loro corpo, ha spinto Silvia Semenzin e Lucia Bainotti, ricercatrici in Sociologia Digitale, ad approfondire attraverso la ricerca scientifica il fenomeno dell’intimidazione e umiliazione delle donne in rete e la sua relazione con forme di violenza di genere già esistenti.
È questo il caso di una specifica e odiosa forma di violenza online contro le donne, tornata sotto ai riflettori in queste settimane con un’inchiesta di Wired, ma già tristemente famosa nel nostro paese dopo la morte di Tiziana Cantone: il ‘revenge porn’, una forma di umiliazione del femminile talmente subdola e diffusa che la parola stessa ‘revenge porn’ risulta limitante per comprendere la vastità del fenomeno.
Dovremmo innanzitutto parlare di condivisione non consensuale di materiale intimo e privato per riuscire ad afferrare le cause di una violenza che fino a oggi si muoveva indisturbata nell’ombra, nonostante le sue conseguenze psicologiche e sociali siano devastanti e difficilmente cancellabili.
Perché non è solo la voglia di vendetta che spinge migliaia di uomini a incontrarsi su Telegram per scambiarsi foto intime e non consensuali di donne, così come non è di tipo pornografico (che per definizione è consensuale) il materiale preso di mira da questi uomini e ragazzi. Non è solo la voglia di punire una donna per un torto subito a diventare l’agente causante della violenza, ma è piuttosto la necessità di reclamare il dominio maschile sul corpo femminile. Il revenge porn è una catena dell’odio che nasce dalla necessità di affermarsi all’interno di un gruppo e farsi riconoscere dai propri pari come ‘vero maschio’ e ‘virile’, diventando il motore di vere e proprie molestie sessuali che troppo spesso finiscono per essere giustificate come gioco e goliardia da chi le commette e dal resto della società.
Entrando nella chat misogine di Telegram non ci troviamo infatti di fronte a soli stupratori e pedofili. Molti di quelli che assistono e partecipano alla diffusione della violenza in chat sono ragazzi e uomini comuni che spesso non si rendono nemmeno conto di star commettendo violenza, perché nati e cresciuti in una società che li ha sempre incoraggiati ad adottare dei comportamenti tossici. La normalizzazione di questo fenomeno, rinforzata dalla colpevolizzazione delle vittime stesse, viene definita Cultura dello Stupro: quello che avviene in quelle chat, infatti, è a tutti gli effetti stupro digitale.
L’oggettificazione e mercificazione del corpo femminile, la criminalizzazione della libertà sessuale delle donne e la negazione del loro consenso nella condivisione di materiale privato che le ritrae, diventano parte integrante di un gioco tra uomini che disumanizza il soggetto femminile privandolo di qualsiasi valore che vada al di là del pretto consumo a servizio del desiderio maschile. Le conclusioni della ricerca hanno messo in chiaro quello che già si era sospettato: non si tratta puramente di un problema tecnologico o legale, ma piuttosto profondamente culturale e di genere.
In questo gioco, le piattaforme digitali risultano mediatrici non neutrali della violenza. Non è l’esistenza stessa della piattaforma a essere problematica, ma è l’uso che se ne fa: l’architettura della piattaforma suggerisce, e in alcuni casi permette e amplifica, alcuni tipi di comportamento, ma il modo in cui le funzioni delle piattaforme vengono utilizzate dipende dalle scelte comportamentali dell’essere umano. In una società in cui già esistono forti gerarchie di potere, l’attivazione degli stessi meccanismi di violenza che vediamo offline è strettamente consequenziale ai ruoli di genere già insiti culturalmente. Nello specifico, Telegram offre ai suoi utenti la possibilità di agire in una sorta di anonimato all’interno di chat in cui facilmente si instaurano relazioni tra pari, rappresentando quindi un contesto favorevole alla proliferazione di ‘revenge porn’ e discorsi misogini in un clima di apparente impunità.
Perché non esistono chat di 60mila donne che si scambiano foto di uomini nascoste dietro a uno pseudo-anonimato? E perché non esistono bot che automatizzano la diffusione dei numeri di telefono di giovani ragazzi e le loro foto intime?
Per rispondere è necessario indagare seriamente sul modo in cui avvengono le performance della maschilità e la costruzione di omosocialità tra uomini. Perché il revenge porn è un sintomo culturale di un qualcosa di più grande – quel qualcosa che non riconosce agli uomini la possibilità di piangere o mostrarsi fragili e vulnerabili, in quanto caratteristiche legate al ruolo di genere femminile. È il risultato di una cultura fortemente patriarcale che accetta la violenza di genere come inevitabile e che continua a essere principalmente responsabile di tali comportamenti.
La condivisione non consensuale di materiale intimo è diventata reato in Italia il 19 luglio 2019 anche grazie all’aiuto di campagne di sensibilizzazione e movimenti dal basso, eppure i recenti avvenimenti ci dimostrano che, in mancanza di un serio cambiamento culturale, la legge da sola non funge da deterrente della violenza. Proprio per questo, è necessario continuare ad agire usando tutti gli strumenti culturali a nostra disposizione.
Gli uomini nello specifico hanno oggi la possibilità di cominciare a rompere la catena della violenza, ripensando al proprio rapporto con i pari e rimettendo al centro il rispetto e l’uguaglianza. Ma se la cultura è responsabilità di tutti, è urgente che ognuno di noi contribuisca a un cambiamento su larga scala, insistendo anche sull’introduzione di programmi di educazione al rispetto e alla parità, così come di educazione civica digitale, senza tralasciare la responsabilità delle piattaforme e i diritti digitali umani.
Rendere il web un luogo più sicuro e inclusivo è ancora possibile, ma per fare questo dobbiamo prima prenderci cura della crescita culturale collettiva, cominciando a sostituire la cultura dello stupro con la cultura del consenso e riflettendo sul tipo di società digitale che vorremo costruire.
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Silvia Semenzin e Lucia Bainotti sono ricercatrici in Sociologia Digitale rispettivamente all’Università Statale di Milano e all’Università di Torino. Insieme, hanno svolto per tre mesi un lavoro di infiltrazione e ricerca in più di 50 gruppi e canali di Telegram dedicati alla condivisione non consensuale di materiale intimo. Al momento in peer review per la pubblicazione, “The use of Telegram for non-consensual dissemination of intimate images. Gendered affordances and the construction of masculinities” è una delle prime ricerche accademiche che utilizza dati italiani per studiare come il più ampio fenomeno della violenza online contro le donne si interseca all’uso di tecnologia digitale.